venerdì 28 ottobre 2011

Presentato al MAMBO il progetto la Scienza in Valigia

The regional project "Sustainability in a Suitcase", conceived in the frame of the project "Science and Technology in Emilia Romagna," was presented by Nadia Fellini to the participants in the European Conference AQUEDUCT at MAMbo, the Museum of Modern Art of Bologna on October 28th 2011

Sustainability in a Suitcase

venerdì 4 giugno 2010

Presentato il progetto "La scienza in valigia" a Palazzo d'Accursio a Bologna

Il giorno 31 maggio si è svolto a Bologna l'incontro conclusivo del Progetto Regionale Scienze e Tecnologia in Emilia Romagna. In questa occasione sono stati presentati i nove progetti finanziati nell'ambito del progetto, tra cui il progetto La Scienza in valigia. Qui di seguito la presentazione illustrata da Nadia Fellini, coordinatrice del progetto per il Museo di Scienze Naturali di Cesena.

La Scienza in Valigia

venerdì 7 maggio 2010

Presentazione del progetto "La scienza in valigia" alle autorità locali

Mercoledì 5 maggio presso l'ITIS "Blaise Pascal" di Cesena è stato presentato alle autorità locali il progetto regionale "La scienza in Valigia". L'incontro è stato introdotto dalla Preside dell'Itis M.B. Borini, dall'insegnante referente del progetto A. Ravazzi, da Paola Barbieri in rappresentanza di Controvento, la cooperativa che ha coordinato il progetto per il Museo di Scienze Naturali di Cesena. Sono intervenuti l'Assessore alla Sostenibilità Ambientale del comune di Cesena Lia Montalti, l'Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Cesena Elena Baredi e l'Assessore alle Politiche per l'Istruzione della Provincia di Forlì-Cesena. Durante l'incontro, i 65 studenti coinvolti nel progetto hanno illustrato ai presenti il percorso progettato e vissuto durante l'intero anno scolastico.































mercoledì 5 maggio 2010

Convivenza e sviluppo sostenibile: una ricerca

1. Problemi legati allo sfruttamento delle risorse
Le risorse naturali e il loro sfruttamento possono provocare, come spesso accade, conflitti all’interno della società, portando diversi gruppi e fazioni a lottare per la loro spartizione. A volte tali conflitti emergono apertamente sotto forma di lotte separatiste nelle regioni in cui le risorse vengono prodotte, ma spesso avvengono in forme più nascoste, come gli scontri tra diversi ministri o uffici governativi per ottenere risorse di bilancio. Ciò tende ad erodere la capacità del governo di funzionare con efficacia.

Tassazione
Un altro problema molto importante è che i cittadini dei paesi nei quali l’economia è dominata dalle risorse naturali, godono di pochi e scarsi servizi, e questo è dovuto al governo che non ha bisogno di tassare i propri cittadini perché ha a disposizione una fonte di reddito garantita dalle risorse naturali. Tuttavia se i cittadini si lamentano, i governi hanno soldi sufficienti per pagare le forze armate a reprimere queste lamentele.

Male olandese

Il male olandese è un fenomeno economico in cui i redditi derivanti dall’esportazione di una risorsa portano all’aumento del tasso di cambio reale e all’incremento degli stipendi, causando così un danno ai settori economici produttivi della nazione. Questo rende i settori come agricoltura e manifattura meno competitivi nei mercati mondiali. Il declino nei settori esposti alla competizione internazionale e la conseguente sempre maggiore dipendenza dai redditi derivanti dalle risorse naturali, lasciano l’economia in balia delle oscillazioni di prezzo delle risorse naturali. In aggiunta, poiché in generale la produttività aumenta più velocemente nel settore manifatturiero, l’economia si perderà quei miglioramenti di produttività.

Risorse umane

In molti paesi poveri, il settore delle risorse naturali tende a pagare salari molto più alti rispetto a quelli disponibili nel resto dell’economia. Ciò tende ad attrarre i migliori talenti dai settori sia privato, sia pubblico, danneggiandoli così mediante la privazione del loro personale più competente e preparato. Un’altra possibile conseguenza della maledizione delle risorse è lo spiazzamento del capitale umano; i paesi che fanno affidamento sulle esportazioni di risorse naturali possono tendere a trascurare l’istruzione, non vedendone l’immediato bisogno. Le economie povere di risorse, al contrario, hanno profuso enormi sforzi nell’istruzione, e ciò ha contribuito in parte al loro successo economico. Altri ricercatori, tuttavia, contestano tale conclusione, sostenendo che le risorse naturali generano rendite facilmente tassabili che nella maggior parte dei casi hanno portato a un incremento nella spesa pubblica nell’istruzione.

Libertà e democrazia

È stato anche argomentato che gli alti e i bassi nella quotazione del petrolio possano essere correlati con gli alti e i bassi nell’implementazione dei diritti umani nei paesi maggiori produttori.

Conflitti civili

Uno studio del 2008 afferma che le scoperte di giacimenti petroliferi fa effettivamente diminuire le probabilità di una guerra civile, inclusi i propositi di guerra. A tale sorprendente risultato si giunge grazie alla forte relazione inversa tra il petrolio e le guerre secessionistiche.

Approfondimento: l'ONU
Nel tema della convivenza tra i popoli, non si può non citare l’ONU, ovvero l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nata nell’1945 a San Francisco e oggi composta da 191 Stati, l’ONU si è sempre prefissata il compito di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, favorire le collabo-razioni tra i diversi Paesi in campo economico, sociale e culturale e assicurarsi che vengano rispettati i diritti umani.
Per adempire a questi scopi l’ONU ha alcuni organi e agenzie. Gli organi principali sono:
• Assemblea Generale
• Consiglio di sicurezza
• Corte internazionale di giustizia
• Consiglio economico e sociale
• Consiglio di amministrazione fiduciaria
• Segretariato

L’organo che decide se intervenire nelle varie questioni è il Consiglio di sicurezza: è formato dai rappresentanti permanenti delle grandi potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale (USA, Gran Bretagna, Russia, Francia e Cina) che hanno il diritto di veto e da altri 10 rappresentanti, in carica per 2 anni, eletti dall’Assemblea Generale.
Le agenzie che fanno capo all’ONU sono specializzate per la risoluzione di specifici problemi (FAO, UNESCO, OMS, FMI, UNICEF). Tra queste agenzie una delle più famose è importanti è l’UNICEF: il suo compito è salvaguardare i diritti dei bambini di tutto il mondo,assicurargli una vita dignitosa e l’istruzione,cose che in molti paesi del terzo e quarto mondo non sono scontate come possono apparire nella nostra società.
Nel caso che il Consiglio di sicurezza ritenga necessario un intervento in un conflitto, l’ONU è munito anche di un proprio esercito, i cosiddetti Caschi Blu, che possono compiere missioni di pace cercando di sedare i conflitti tra paesi.
Negli ultimi tempi la funzionalità dell’ONU è stata contestata perché, ricevendo fondi dai vari governi, c’è il rischio che l’intera organizzazione penda a favore delle potenze che contribuiscono alla sussistenza della stessa. Un’altra fonte di polemiche è data dall’organiz-zazione del consiglio di sicurezza: se anche uno solo dei 5 membri permanenti pone il veto su una risoluzione in esame, la stessa viene bocciata. Con questo sistema le potenze maggiori potrebbero ottenere vantaggi evitando l’intervento dell’ONU: ad esempio la Cina potrebbe ostacolare gli interventi a favore dei diritti umani nel proprio Stato per evitare eventuali sanzioni internazionali.
Per garantire il corretto funzionamento dell’ONU è necessario porre rimedio a questi problemi: l’ONU e l’impegno di tutti i Paesi possono fare molto per garantire la pace, la convivenza tra i popoli e risolvere gli innumerevoli problemi che affliggono il mondo.

2. La fame nel mondo



2.1. Definizioni fondamentali

La malnutrizione:
un termine dal vasto significato, per descrivere una gamma di circostanze che ostacolano la buona salute, causato dal cibo che consumiamo quando è inadeguato o non bilanciato, oppure dal suo scarso assorbimento. Si riferisce sia alla sottonutrizione che all’ ipernutrizione – condizioni di privazione o di eccesso.

La sottonutrizione:
il risultato di un prolungato, basso livello di cibo consumato e/o di basso assorbimento dello stesso cibo. Generalmente applicato a definire la carenza di energia ( o di proteine ed energia), ma può anche riferirsi alla carenza di vitamine e minerali causata dall’incapacità dell’organismo di mantenere queste sostanze nutritive.

La sottoalimentazione:

La condizione delle persone alle quali l’assorbimento del cibo fornisce meno del minimo del loro fabbisogno energetico. Gli individui nei quali l’assorbimento del cibo scende costantemente al di sotto del loro fabbisogno energetico, e quindi sono considerati in uno stato di sottoalimentazione.

La sottoalimentazione cronica:

Coloro i quali hanno un assorbimento energetico stimato annuo, sceso al di sotto della quantità richiesta per mantenere il peso corporeo e sopportare un’attività leggera.

La carenza micronutritiva:

Mancanza di vitamine e minerali essenziali che risulta da un non bilanciato assorbimento del cibo e da problemi specifici dell’assorbimento del cibo consumato.
La malnutrizione micronutritiva:
Si riferisce ai disturbi (disfunzioni) da carenza di vitamine e minerali. Spesso si presenta come parte di una sottonutrizione generale dovuta principalmente all’inadeguato generale assorbimento del cibo (attraverso un povero accesso ai cibi che sono buone fonti di queste sostanze nutritive o povere abitudini dietetiche).

L’ipernutrizione:
Risultato di un eccessivo assorbimento del cibo in relazione al fabbisogno energetico.

Fabbisogno energetico:
È determinato dalle dimensioni corporee, dal livello di attività e dalle condizioni fisiologiche quali la malattia, l’infezione, la gravidanza e l’allattamento.

Sicurezza alimentare:
Esiste quando tutte le persone, in ogni istante di tempo, hanno un accesso sia fisico che economico, a cibo che sia sufficiente, sicuro e nutriente e che soddisfi le loro esigenze dietetiche per una vita attiva e sana.

Insicurezza alimentare:

Esiste quando a tutte le persone manca l’accesso a quantità sufficiente di alimento sicuro e nutriente, e quindi non consumano abbastanza per una vita attiva e sana. Questo è dovuto all’indisponibilità di cibo, di potere d’acquisto inadeguato, o di utilizzazione inadeguata a livello familiare.

2.2. La Fame e la Malnutrizione nel Mondo
Per condurre una vita sana e attiva, dobbiamo disporre di alimenti in quantità, qualità e varietà sufficiente a soddisfare i nostri bisogni energetici e nutritivi. Senza una nutrizione adeguata, i bambini non possono sviluppare pienamente il loro potenziale di crescita e gli adulti avranno difficoltà nel mantenere o accrescere il loro.
La malnutrizione è una delle principali cause della nascita di bambini con insufficienza di peso e con crescita ritardata. I bambini con insufficienza di peso alla nascita che sopravvivono, tendono a soffrire di ritardi nella crescita e di malattie durante l'infanzia, l'adolescenza e fino alla maggiore età. Le donne adulte che soffrono di crescita ritardata tendono verosimilmente ad incrementare il cerchio vizioso della malnutrizione partorendo bambini con peso insufficiente già alla nascita. Stanno anche emergendo dei legami tra malnutrizione nella prima età, compreso lo stato fetale, e lo sviluppo di successive malattie croniche come la cardiopatia, il diabete e l'ipertensione. Ogni anno, nei Paesi in via di sviluppo, circa 30 milioni di bambini nascono con crescita menomata a causa della malnutrizione durante la gravidanza.
La malnutrizione sotto forma di carenze di vitamine e di minerali essenziali, continua ad essere, su scala mondiale, la causa di malattie gravi e della morte di milioni di persone. La carenza di ferro può causare un ritardo nella crescita, una minore resistenza alle malattie, una diminuzione, a lungo termine, dello sviluppo mentale e motorio e disordini nelle funzioni riproduttive; contribuisce, inoltre, a circa il 20 per cento dei decessi durante il parto. La carenza di iodio può causare danni cerebrali permanenti, ritardo mentale, sterilità, diminuzione delle probabilità di sopravvivenza dei bambini e gotta. La carenza di iodio in una donna in gravidanza, può causare diversi gradi di ritardo mentale nel nascituro. La carenza di vitamina A nei bambini può causare la cecità o la morte; contribuisce ad una ritardata crescita fisica e ad una diminuita resistenza alle infezioni con conseguente aumento della mortalità tra i bambini più piccoli.
Le conseguenze di una alimentazione povera e di malattie, sia che si presentino nelle forme più lievi che in quelle più gravi, si traducono in una riduzione del benessere, della qualità della vita, in senso lato, e dei livelli di sviluppo del potenziale umano. In particolare, la malnutrizione può dare luogo a una perdita nella produttività lavorativa ed economica, in quanto gli adulti afflitti da disordini nutrizionali non sono in grado di lavorare, a una carenza nell'istruzione, quando i bambini sono troppo deboli o ammalati per frequentare la scuola o per imparare adeguatamente, a costi per le cure sanitarie dei malati per cause legate alla malnutrizione, e, inoltre, a costi che la società deve sostenere per curare i disabili e, a volte, anche le loro famiglie.
Nell'ultimo secolo, sono stati compiuti rimarchevoli progressi al fine di aumentare la quantità e qualità della produzione alimentare mondiale e migliorare lo stato nutrizionale delle popolazioni. Così come la produzione alimentare mondiale è cresciuta, al pari del tasso di incremento della popolazione, anche la sanità, l'istruzione e i servizi sociali sono migliorati in tutto il mondo e il numero delle persone affamate e malnutrite è diminuito considerevolmente. Tuttavia, l'accesso ad approvvigionamenti sufficienti di alimenti vari e di buona qualità resta un problema grave per molti Paesi anche là dove, a livello nazionale, la produzione alimentare sia adeguata. In tutti i Paesi, certe forme di fame e malnutrizione continuano ad esistere.
Per mettere fine alla fame è necessario cominciare a garantire che alimenti siano prodotti in quantità sufficiente e diventino accessibili per tutti. Tuttavia, aumentare semplicemente la produzione alimentare non garantisce l'eliminazione della fame. Deve essere garantito l'accesso di ogni individuo, e in ogni momento, ad alimenti sicuri e sufficienti dal punto di vista nutritivo, necessari per una vita attiva e sana – la cosiddetta sicurezza alimentare. In tutto il mondo, è necessario aumentare gli sforzi per garantire la 'sicurezza alimentare' al fine di eliminare la fame e la malnutrizione e le loro devastanti conseguenze tra le generazioni presenti e quelle a venire. È necessario che ognuno di noi contribuisca, attraverso la condivisione delle informazioni, l'attenzione e la partecipazione alle attività, a garantire il diritto fondamentale di tutti gli esseri umani ad essere “liberi dalla fame”.

2.3. 2050: Un terzo di bocche in più da sfamare.
Il 23 settembre 2009, a Roma, la FAO ha convocato un Forum di Esperti di Alto Livello.
"La FAO è cautamente ottimista riguardo le possibilità del mondo di produrre cibo a sufficienza per nutrire la popolazione mondiale nel 2050", ha dichiarato il Vice-Direttore Generale della FAO Hafez Ghanem. Egli ha però anche sottolineato che riuscire a sfamare tutti per quella data non sarà così automatico e bisognerà affrontare numerose sfide.
Ghanem ha ribadito la necessità di un'adeguata struttura socio-economica al fine di affrontare gli squilibri e le disuguaglianze esistenti, di assicurare che ogni essere umano nel mondo abbia accesso al cibo di cui ha bisogno e che la produzione alimentare sia realizzata in modo da ridurre la povertà, tenendo al tempo stesso conto dei limiti imposti dalle risorse naturali. Le stime a livello globale mostrano che oltre agli investimenti previsti saranno necessari cospicui investimenti ulteriori per garantire l'accesso al cibo, altrimenti circa 370 milioni di persone, quasi il 5% della popolazione dei paesi in via di sviluppo, potrebbero ancora soffrire la fame nel 2050.
Secondo le ultime stime ONU, la popolazione mondiale aumenterà dagli attuali 6,8 miliardi a 9,1 miliardi nel 2050 – un terzo in più di bocche da sfamare rispetto ad oggi. Tale crescita della popolazione avverrà quasi per intero nei paesi in via di sviluppo. Si prevede che la popolazione dell'Africa subsahariana crescerà più velocemente (una crescita del 108%, pari a 910 milioni di persone in più), mentre in Asia orientale e sud-orientale crescerà più lentamente (una crescita dell'11%, pari a 228 milioni di persone in più).
Nel 2050, circa il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città e nelle aree urbane, rispetto all'attuale 49%.

La domanda di cibo
Si stima che la domanda di beni alimentari continuerà ad aumentare, come conseguenza della crescita della popolazione e dell'incremento dei redditi. La domanda di cereali (per l'alimentazione umana e del bestiame) è prevista raggiungere circa 3 miliardi di tonnellate nel 2050. La produzione cerealicola annuale dovrà aumentare di almeno un miliardo di tonnellate (a partire dagli attuali 2,1 miliardi), mentre la produzione di carne dovrà aumentare di oltre 200 milioni di tonnellate per raggiungere nel 2050 un totale di 470 milioni di tonnellate, di cui il 72% verrà consumato nei paesi in via di sviluppo (dove oggi se ne consuma il 58%).
La produzione di bio-combustibili potrebbe anch'essa contribuire all'aumento della domanda di beni alimentari, a seconda dell'andamento dei prezzi dell'energia e delle politiche adottate dai governi.

La terra
Sebbene il 90% della crescita della produzione agricola è prevista derivare da un aumento dei rendimenti delle colture e da una maggiore intensità di sfruttamento agricolo, le terre coltivabili dovranno aumentare di circa 120 milioni di ettari nei paesi in via di sviluppo, specie nell'Africa subsahariana e in America latina. Nei paesi sviluppati invece, si prevede che le terre coltivabili diminuiranno di circa 50 milioni di ettari, sebbene su tale trend possa influire inversamente la domanda di bio-carburanti.

L'acqua
Si prevede che il consumo di acqua per l'irrigazione dei campi aumenterà ad un tasso più modesto, grazie alla ridotta domanda e ad una maggior efficienza nell'uso dell'acqua, ma crescerà comunque di quasi un 11% per il 2050. A livello globale, le risorse idriche sono sufficienti ma distribuite in maniera diseguale, tanto che la scarsità d'acqua raggiungerà livelli preoccupanti in un crescente numero di paesi, o di regioni interne ai paesi, in particolare in Medio Oriente/Nord Africa e in Asia meridionale. Utilizzare una minor quantità d'acqua riuscendo al tempo stesso a produrre più cibo sarà cruciale per affrontare i problemi legati alla scarsità delle risorse idriche. Tale scarsità potrebbe inoltre essere aggravata da alterazioni negli schemi delle precipitazioni causate dal cambiamento climatico.

Meno gente affamata
La FAO ha sollecitato degli interventi più decisi per ottenere progressi più rapidi verso l'obiettivo della riduzione e dell'eliminazione della fame e della povertà nel mondo. Gli investimenti nell'agricoltura primaria dovrebbero diventare una priorità ed essere aumentati di circa il 60%, poiché l'agricoltura non solo produce cibo ma genera anche redditi e favorisce la sussistenza nelle aree rurali.
La riduzione della povertà richiede inoltre investimenti nelle infrastrutture rurali (strade, porti, elettricità, sistemi di stoccaggio e d'irrigazione); investimenti nelle istituzioni, nella ricerca, nello sviluppo dei servizi, nei diritti di proprietà terriera, nella gestione del rischio, nei sistemi di controllo veterinario e della sicurezza alimentare; ed anche investimenti nel settore non agricolo, come per esempio la creazione di reti di sicurezza alimentare o trasferimenti monetari ai più bisognosi.
Senza sviluppo ed investimenti nelle aree rurali dei paesi poveri, il bisogno e le disuguaglianze rimarranno estese, sebbene assai meno di quanto lo siano oggi, secondo la FAO.

3. Disuguaglianza sociale e riscaldamento globale: due problemi intimamente connessi
La diseguaglianza presente all’interno della società rappresenta anche una delle principali forze che spinge le persone ad un consumo sempre più insensato. Il consumo è motivato in larga misura dalla competizione/autodifesa dello status sociale, con conseguente aumento dei livelli di ansia per il timore di un declassamento.
Durante la conferenza mondiale sul clima di Copenhagen non è stato possibile trovare un accordo su quali misure sono da prendere per affrontare i problemi dovuti al riscaldamento globale. Una sconfitta davvero deprimente visto che gli esperti del settore sono ormai concordi nell’affermare che per contrastare le conseguenze disastrose del riscaldamento globale occorre ridurre tempestivamente e drasticamente le emissioni di CO2. Esiste, inoltre, un divario notevole nelle emissioni da parte dei Paesi ricchi rispetto a quelli dei Paesi poveri e quindi è evidente che l’obiettivo di raggiungere un livello globale di emissioni pro capite omogeneo ed ecocompatibile significa una forte riduzione delle emissioni nei Paesi ricchi ed un mantenimento oppure anche una possibile crescita dei livelli nei Paesi poveri.
Nelle discussioni sugli ostacoli al raggiungimento di tale obiettivo spesso viene menzionata l’indisponibilità degli abitanti dei Paesi ricchi a rinunciare al benessere dovuto alla produzione delle merci, alla possibilità di muoversi a basso costo con automobili ed aeroplani, ecc. Il mantenimento del benessere materiale e della qualità della vita sarebbe quindi in contraddizione alle misure necessarie per contrastare il riscaldamento globale.
Ma è veramente così? Per rispondere a questa domanda torna utile fare riferimento al libro di Richard Wilkinson e Kate Ticket, La misura dell’anima edito in Italia da Feltrinelli. I due autori sostengono che sarebbe un errore affidarsi alle invenzioni tecnologiche nella speranza di risolvere il problema. Non alterando il funzionamento di base dell’economia, anche innovazioni tecnologiche notevoli non potranno risolvere il problema. Per esempio, un nuovo motore che consumi solo metà del carburante farà sicuramente risparmiare sia in termini di emissioni di CO2, sia in termini di denaro per chi possiede l’automobile. Ma tali risparmi verranno verosimilmente investiti in attività a loro volta dannosi per l’ambiente (acquisto di un automobile più potente o di altri merci ad alto consumo energetico, viaggi in auto più lunghi e frequenti, viaggi in aereo ecc.). A sostegno di questa teoria Wilkinson e Picket fanno osservare che nei Paesi che hanno adottato auto più piccole e a basso consumo le emissioni di inquinanti hanno continuato ad aumentare, nonostante la maggiore efficienza.
La tesi principale portata avanti dagli autori è che, una volta raggiunto un certo livello di base di benessere materiale, l’ulteriore crescita economica, in senso di reddito medio e possesso di merci di consumo, non aumenti il benessere, la soddisfazione o la salute di una nazione.
Secondo Wilkinson e Picket i problemi nelle società benestanti non sono dovuti ad un livello medio di ricchezza non ancora abbastanza elevato, ma alle disparità troppo pronunciate nella disponibilità dei beni materiali tra i diversi membri della società.
Logicamente è vero anche il contrario: riducendo le disparità si riduce la necessità di apparire, di disporre dei segni esteriori e materiali che contraddistinguono lo status a cui si appartiene oppure a cui si aspira (automobili, merci, viaggi frequenti in Paesi esotici, ecc.) . “Dobbiamo creare società votate all’uguaglianza, in grado di soddisfare i nostri veri bisogni sociali. Affinché le misure volte a contrastare il riscaldamento globale non siano percepite unicamente come un limite alle opportunità di soddisfazione materiale, devono essere abbinate a politiche egualitarie che ci conducano verso nuovi e più fondamentali modi di migliorare la qualità delle nostre vite”.
La lotta contro il riscaldamento globale e quella contro la disuguaglianza e per il benessere umano si potenziano, quindi, a vicenda e la probabilità di successo dipende molto dal grado di integrazione dei due ambiti. “Oltre a facilitare la riduzione dei consumi e le emissioni di CO2 la riduzione delle disparità sociali avrebbe, inoltre, numerosi ulteriori vantaggi, per esempio, affron-tando più efficacemente numerosi dei più scottanti problemi della nostra società. Nello specifico gli autori dimostrano che le società con minori discrepanze sociali al loro interno abbiano significati-vamente meno problemi di :
• vita comunitaria e relazioni sociali tra le persone
• salute mentale e consumo di droghe
• salute fisica e speranza di vita
• obesità
• rendimento scolastico
• gravidanze in adolescenza
• violenza e sicurezza
• crimini e incarcerazione

Bibliografia
Fonte © FAO e Partners di NMCF, 2006
Richard Wilkinson e Kate Picket. La misura dell’anima. Feltrinelli, 2009

Ricerca svolta da D. Barocci, L. Castro, L. Nunziatini, E. Trevisani, M. Zanni - Classe 2°C

Cambiamenti climatici, salute e sviluppo sostenibile

1. Cambiamenti climatici: lo stato attuale e le previsioni
A livello mondiale la concentrazione di anidride carbonica è aumentata di 1,6 ppm/anno nel periodo 1980-2008 e di 1,9 ppm/anno dal 1993 al 2008. Al ritmo attuale, la concentrazione di CO2 , ora di 386 ppm (386 cm3/1m3 di aria), raggiungerà nel 2020 il valore di 410 ppm. Le emissioni globali di gas serra da attività umane sono aumentate del 70% dal 1970, superando di gran lunga i valori pre-industriali. Con le attuali politiche, le emissioni globali carboniche aumenteranno del 25-90% entro il 2030.
Dal 1850, 11 degli ultimi 12 anni sono tra i 12 anni più caldi come temperatura superficiale media globale. Tale temperatura è aumentata di 0,74°C nel periodo 1906-2005, rispetto all’aumento di 0,6°C del periodo 1901-2000. Nei prossimi due decenni, perdurando le condizioni attuali, si stima un riscaldamento di circa 0,2°C per decennio. La precipitazione media globale a livello del mare è aumentata da 1,8 mm/anno (1961) a 3,1 mm/anno (1993).L’estensione dei ghiacci artici si è ridotta dal 1978 del 2,7% per decennio e i ghiacciai alpini si sono ritirati in entrambi gli emisferi. È stato stimato che se non si ridurranno le emissioni carboniche entro la fine del XXI secolo, il riscaldamento della Terra potrà salire da 1,8° a 4°C.
Il tempo per evitare la catastrofe ambientale fisica e chimica, degli ecosistemi biologici e dei singoli organismi viventi, quindi il collasso della Terra, è stimato in 5-10 anni, nei quali diviene necessario ridurre le emissioni carboniche e stabilizzarne la concentrazione.
Sono iniziati e sono destinati ad aggravarsi i seguenti effetti dei cambiamenti ambientali:
• innalzamento del livello delle acque marine, erosione delle coste, inondazioni interne, ritiro dei ghiacciai e delle calotte polari;
• intense variazioni nelle quantità di precipitazione;
• aumento della salinità degli oceani ed eutrofizzazione delle acque costiere;
• struttura dei venti;
• eventi meteorologici estremi (siccità, precipitazioni eccezionali, inondazioni, cicloni tropicali, ondate di calore);
• estinzione del 20-30% delle specie sinora classificate, non in grado di adattarsi alla rapidità dei cambiamenti in atto, se la temperatura media globale supererà di 1,5-2,5°C quella del 1980-1999.

Inoltre, nei diversi settori sono da temere i seguenti rischi:
• riduzione delle produzioni agricole per siccità e inondazioni;
• riduzione delle foreste e desertificazione;
• riduzione della disponibilità di acque e peggioramento della loro qualità;
• perdita di habitat.

Relativamente agli effetti sulla salute, l’OMS ha stimato la perdita per ogni anno di 5 Milioni di anni di vita in buona salute (DALY) e un incremento del 3% della mortalità per ogni grado di aumento della temperatura terrestre.

Rischi di nocività più specifiche potranno derivare:
• da malnutrizione per crisi agricola ed economica;
• da eventi meteorologici estremi ;
• da inquinamento atmosferico;
• da spostamento dalle zone tropicali al nord e al sud del Pianeta di vettori di malattie infettive e parassitarie (malaria, febbre gialla, dengue, chikungunya, m. da virus del Nilo Occidentale, m. di Lyme, m. di Chagas, leptospirosi, leishmaniosi, schistosomiasi).

2. Ambiente e salute per l’Europa dei diritti umani
L’ambiente nella sua accezione più completa e complessa – comprensiva di stili di vita, condizioni sociali ed economiche – è un determinante fondamentale per il benessere psicofisico e quindi per la salute delle persone e delle popolazioni. La considerazione e la valutazione del rapporto ambiente e salute dovrà pertanto rivestire un ruolo centrale in ogni intervento legislativo, programmatico e d’indirizzo del prossimo Parlamento Europeo.
I cambiamenti climatici indotti dall’immissione nell’atmosfera di gas serra, generati da attività industriali e sistemi di trasporto, rappresentano – come denunciato in varie sedi dalla comunità scientifica internazionale – una grande emergenza planetaria e impongono scelte decisive e non più rimandabili, in ragione delle possibili e difficilmente prevedibili conseguenze economiche, ambientali, biologiche, sanitarie.
Sempre più spesso l’ambiente è considerato come un nuovo settore d’affari e sempre più numerosi e drammatici sono diventati i crimini e gli scempi ambientali: inquinamento dell’intera eco-biosfera, con particolare riferimento alle catene alimentari e agli ecosistemi; deforestazione, desertificazione, cementificazione di territori sempre più vasti; grandi opere e infrastrutture, spacciate come cruciali (spesso con il sostegno di vere e proprie campagne mediatiche e pubblicitarie), ma devastanti per l’ambiente e dannose per la salute delle popolazioni.
È indispensabile un forte ripensamento dell’attuale modello di sviluppo e dell’intero sistema economico, che riconosca la centralità del binomio ambiente-salute.
Il rapporto dinamico e indissolubile che lega ambiente e salute dovrebbe essere al centro del dibattito scientifico e culturale ed ispirare le scelte culturali, politiche e economiche.
Per questi motivi è necessario diffondere intorno ad ogni scelta ad alto impatto ambientale la più rigorosa ed obiettiva informazione scientifica, onde permettere e promuovere l’attiva partecipazione dei cittadini, in ogni Stato dell’Unione, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Århus (convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, Århus, Danimarca, 25 giugno 1998). Riteniamo infatti che una corretta informazione, la partecipazione democratica, la condivisione delle scelte siano presupposti fondamentali di una politica responsabile e rispettosa di un giusto rapporto tra cittadini e ambiente.

2.1. Principi fondamentali

• Il Diritto alla Salute
Il Diritto alla Salute è sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani e dall’art. 32 della Costituzione italiana, che lo pongono tra i diritti fondamentali ed inalienabili di ogni essere umano.
Il Parlamento europeo dovrebbe operare per rimuovere ogni ostacolo alla piena attuazione di questo diritto inviolabile, che dovrà essere garantito a tutti i cittadini europei e a quanti si trovino a vivere, anche temporaneamente, negli Stati membri dell’Unione, senza alcuna discriminazione, in quanto la tutela del benessere psicofisico di ogni individuo è premessa e garanzia indispensabile per il benessere e la salute dell’intera comunità.
Il Parlamento europeo dovrebbe anche adoperarsi affinché il Diritto alla Salute sia garantito in ogni parte del mondo e in particolare nei Paesi più poveri, attraverso politiche di partnernariato e cooperazione. È necessario promuovere precise disposizioni che impegnino le industrie farmaceu-tiche a fornire l’accesso ai farmaci salvavita e ai loro brevetti a prezzi accessibili e che solleciti gli Stati dell’Unione europea a destinare una parte più consistente di fondi per la ricerca alla diagnosi e cura delle cosiddette “neglected diseases”, malattie endemiche che affliggono le comunità più emarginate e dimenticate del mondo (oltre un miliardo di persone).

• Il principio di precauzione

Il Principio di Precauzione, entrato a far parte del Trattato Costitutivo dell’Unione Europea (Maastricht, 1994) afferma: “… Qualora esista il rischio di danni gravi ed irreparabili, la mancanza di piena certezza scientifica non può costituire il pretesto per rinviare l’adozione di misure efficaci, anche non a costo zero, per la prevenzione del degrado ambientale”.
Viene sancito quindi il primato della salute e della salvaguardia dell’ambiente sulle valutazioni di ordine politico ed economico.

• La prevenzione primaria

Per Prevenzione Primaria si deve intendere l'insieme delle scelte e dei provvedimenti adottati in ambito ambientale, sociale e politico con l'obiettivo di favorire il benessere psico-fisico delle popolazioni e di prevenire l'insorgenza delle malattie nella collettività.
Il Parlamento europeo dovrebbe privilegiare sempre e in ogni caso le politiche di Prevenzione Primaria; di garantire un’informazione corretta e completa sui rischi sanitari derivanti dal degrado ambientale, anche connesso alla realizzazione di infrastrutture e grandi opere nonché dalle pratiche bio-mediche. A tal fine, è necessario garantire la completa e definitiva attuazione di quanto stabilito a partire dalla Convenzione di Stoccolma del 13 Maggio 2001 per la eliminazione dei cosiddetti inquinanti organici persistenti (POPs - Persistent Organic Pollutants -) e che la normativa europea R.E.A.CH. (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) sia resa più rigorosa ed estesa a tutte le sostanze chimiche di sintesi di nuova introduzione: che ogni nuovo prodotto sia cioè sottoposto a prove adeguate di innocuità a carico del produttore e verificate da organismi indipendenti.

2.2. Ambiti specifici e criteri di intervento

Energia
La Comunità scientifica internazionale concorda circa la necessità di una rapida conversione dell’attuale modello di sviluppo in larga misura fondato sul consumo di combustibili fossili e di risorse non rinnovabili; in tutto il mondo si chiede, quindi, un rapido incremento delle politiche di risparmio energetico e di ricerca e diffusione delle energie rinnovabili (solare, solare termico, eolico, minieolico) e programmi concreti di emancipazione rapidamente progressiva dalle fonti di energia fossile in particolare dal carbone e dal nucleare.
Il Parlamento europeo deve spingere tutti i paesi comunitari ad abbandonare, in tempi rapidi, programmi energetici basati sull’utilizzo di fonti fossili particolarmente inquinanti e climalteranti (con particolare riferimento al carbone) e sul rilancio del nucleare, che rappresenta un’ipoteca inaccettabile sulla vita delle generazioni future; a promuovere la diffusione sul proprio territorio di piccole centrali di produzione energetica; a disincentivare la costruzione di grandi poli energetici, fortemente inquinanti per l’ambiente e dannosi per la salute delle popolazioni.

Gestione dei rifiuti

Una società sostenibile richiede un incremento delle filiere brevi del ciclo dei materiali postutilizzo, in modo che possano essere attuati maggiori controlli e che l’intero ciclo possa essere gestito in relazione alle peculiarità sociali ed economiche di micro-aree territoriali. Con la piena attuazione di questo tipo di gestione il quantitativo di materiali che necessitino di un trattamento finale si riduce in maniera drastica e la parte residua può essere trattata senza alcuna combustione, con tecniche meccaniche di estrusione per attrito: tali sistemi sono già operativi con successo anche
in Italia, e non determinano danno alla salute e all’ambiente come accade invece nel caso di “chiusura del ciclo dei rifiuti” con inceneritori e conferimento in discarica.
Il Parlamento europeo deve prodigarsi affinché in tutti i paesi dell’Unione si incrementi e diffonda la “politica delle R”: Riduzione della produzione dei rifiuti, Raccolta differenziata “porta a porta”, Riciclaggio, Riuso, Riparazione e Responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni, così da evitare l’incenerimento dei materiali post-utilizzo e da ridurre progressivamente il conferimento in discarica dei rifiuti.

Acqua

La qualità dell’acqua, come quella dell’aria, sono due determinanti fondamentali della salute. L’acqua è e deve rimanere un Bene Comune. L’accesso all’acqua é un diritto inalienabile per le persone e i popoli. Il Parlamento europeo deve, per questo motivo, favorire in ogni modo la gestione pubblica di questa risorsa fondamentale. Le istituzioni europee devono altresì vigilare affinché in tutti i Paesi della UE si adottino politiche concrete di risparmio idrico; di salvaguardia e risanamento degli ecosistemi e dei bacini idrici utilizzati per approvvigionamento di acque potabili; di miglioramento degli acquedotti e delle reti di distribuzione.

Aria

La qualità dell’aria è un determinante fondamentale della salute. A maggiori livelli d’inquinamento atmosferico sono correlati incrementi evidenti delle malattie respiratorie e cardio-vascolari.
È assolutamente necessario sostenere e rafforzare tutti gli interventi in grado di ridurre drasticamente la produzione e immissione in ambiente di anidride carbonica e altri gas serra e di sostanze nocive e tossiche, con particolare riferimento al particolato fine e ultrafine, agli idrocarburi policromatici, ai metalli pesanti, al benzene, alle molecole diossino-simili: tutti agenti potenzial-mente mutageni e/o epimutageni e quindi cancerogeni e teratogeni. In primo luogo bisogna estendere e potenziare in tutto il territorio europeo le reti di monitoraggio della qualità dell’aria, con utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, in particolare nelle aree e nei distretti con presenza di rilevanti fonti d’inquinamento: aree industriali, grandi poli di produzione energetica, città con elevato traffico veicolare, aree aeroportuali.
Sarebbe opportuno inoltre rivedere e rendere più efficaci le iniziative fiscali per limitare l’utilizzo dei combustibili fossili, che rappresentano da quasi due secoli la principale fonte delle emissioni inquinanti e climalteranti.

Mobilità

Una migliore qualità dell’aria potrà essere garantita soltanto da una rapida trasformazione dell’intero sistema dei trasporti che permetta una drastica riduzione dell’immissione in atmosfera dei prodotti della combustione di petrolio, gasolio, benzine, gas.
Il Parlamento europeo dovrebbe: incentivare il trasporto su rotaia e le cosiddette autostrade del mare per il trasporto di merci e persone; prodigarsi per una progressiva riduzione del traffico automobilistico e per la limitazione delle aree urbane destinate al trasporto privato, nelle grandi e piccole città, che potrebbero così recuperare fascino, bellezza e condizioni di vita più salubri; disincentivare il trasporto commerciale su gomma; sottoporre a politiche di monitoraggio e riduzione il traffico aereo. Tenuto conto del fatto che il traffico aereo è attualmente responsabile (secondo le stime più accreditate) del 4-10 % delle emissioni di anidride carbonica, sarebbe necessario promuovere politiche di riduzione e una moratoria per la costruzione di nuovi aeroporti e l’ampliamento di quelli già esistenti (Germania e Francia hanno già attuato questo provvedimento, che dovrebbe essere raccomandato agli altri paesi europei e in particolare all’Italia dove al momento si registra la presenza di più di cento aeroporti).

Pratiche agricole
In questo ambito il Parlamento europeo dovrebbe incentivare in ogni modo le coltivazioni biologiche; premere per una rapida eliminazione di pesticidi e fitofarmaci dalle pratiche agricole; sostenere l’agricoltura integrata; incentivare i progetti di ricerca e riconversione al biologico, che dovrebbe essere obbligatoria nelle aree dedicate a coltivazioni agricole situate in prossimità di sistemi idrici che forniscono acque potabili alle popolazioni
Per quanto riguarda l’introduzione e l’uso di OGM alimentari il Parlamento europeo deve farsi garante del più rigoroso rispetto del Principio di Precauzione, al fine di impedire la loro introduzione e commercializzazione, in attesa di evidenze scientifiche certe, che ne dimostrino la sicurezza e l’oggettiva necessità.

Campi elettromagnetici

Il Parlamento europeo, sulla base dei documenti ufficiali dell’European Environment Agency (EEA),che evidenziano rischi acclarati per la salute umana, dovrebbe emanare e predisporre norme e misure atte a ridurre – in prossimità di scuole, centri sportivi e aeree densamente abitate – l’esposizione (in specie degli organismi in via di sviluppo) a campi elettromagnetici.
È opportuno che i Paesi europei si dotino di piani nazionali per l’installazione dei diversi sistemi e strutture di emissione dei campi elettromagnetici in modo da avere una mappa con valori certi e noti di esposizione; di promuovere campagne d’informazione e prevenzione circa i possibili danni alla salute; di incentivare e sostenere studi e ricerche indipendenti, che permettano di approfondire e incrementare le conoscenze su questo particolare fattore di inquinamento ambientale in continua espansione, vista l’enorme e rapida diffusione di sempre nuove tecnologie di telecomunicazioni.

Il caso: l’incenerimento dei rifiuti

Il problema dei rischi legati all’incenerimento dei rifiuti è di cruciale attualità: tale pratica sta infatti dilagando nel nostro paese grazie ad improprie incentivazioni economiche – anche di recente riconfermate ed elargite solo nel nostro paese (CIP6, certificati verdi) – che distorcono gravemente l’adozione di corrette politiche di smaltimento dei rifiuti, a cominciare dalla loro riduzione, riuso, riciclo. L’incenerimento dei rifiuti riduce solo il volume dei rifiuti in entrata e trasforma anche materiali relativamente inerti in ingresso in rifiuti altamente tossici e pericolosi, sotto forma di emissioni gassose, ceneri volatili, ceneri pesanti, che a loro volta richiedono costosi sistemi di inertizzazione e di stoccaggio. Nelle popolazioni esposte alle emissioni di inquinanti provenienti da inceneritori sono stati segnalati numerosi effetti avversi sulla salute sia neoplastici che non. Fra questi ultimi si annoverano: incremento dei nati femmine e parti gemellari, incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, diabete, ischemie, problemi comportamentali, patologie polmonari croniche aspecifiche, bronchiti, allergie, disturbi nell’infanzia. Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro. Segnalati aumenti di cancro a: fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella. Particolarmente significativa risulta l’asso-ciazione per: cancro al polmone, linfomi non Hodgkin, neoplasie infantili e soprattutto sarcomi, patologia ormai considerata “sentinella” dell’inquinamento da inceneritori. Si sottolinea che anche con i “nuovi” impianti nessuna valida garanzia di innocuità può essere fornita perché, trattandosi di impianti di taglia enormemente maggiore rispetto al passato, la quantità complessiva di inquinanti immessi globalmente nell’ambiente non è affatto trascurabile ed inoltre, avvenendo la combustione a temperature più elevate, si ha la formazione di ingenti quantità di particolato ultrafine, che ha dimostrato di avere effetti gravissimi sulla salute umana e di possedere anche azione genotossica. Questi rischi sono assolutamente ingiustificati in quanto esistono tecniche di gestione dei rifiuti, alternative alla combustione, già ampiamente sperimentate e prive di effetti nocivi.

Inquinanti emessi da inceneritori
Gli impianti di incenerimento rientrano fra le industrie insalubri di classe I in base all’articolo 216 del testo unico delle Leggi sanitarie (G.U. n. 220 del 20/09/1994) e qualunque sia la tipologia adottata (a griglia, a letto fluido, a tamburo rotante) e qualunque sia il materiale destinato alla combustione (rifiuti urbani, tossici, ospedalieri, industriali, ecc) danno origine a diverse migliaia di sostanze inquinanti, di cui solo il 10-20% è conosciuto. Ricordiamo che la legge prevede controlli solo per alcuni di essi, per poche volte all’anno, spesso con autocertificazione della ditta.
La formazione degli inquinanti da parte di questi impianti dipende, oltre che dal materiale combusto, dalla mescolanza assolutamente casuale delle sostanze nei forni, dalle temperature di combustione e soprattutto dalle variazioni delle temperature stesse che si realizzano nei diversi comparti degli impianti, come è stato descritto anche recentemente. Fra gli inquinanti emessi dagli inceneritori possiamo distinguere le seguenti grandi categorie: Particolato – inalabile (PM10), fine (PM2.5) ed ultrafine ( inferiore a 0.1 micron) – metalli pesanti, diossine, composti organici volatili, ossidi di azoto ed ozono. Si tratta in molti casi di sostanze estremamente tossiche, persistenti, bioaccumulabili; in particolare si riscontrano: Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nichel, Benzene ,Piombo, Diossine, Dibenzofurani, Policlorobifenili, Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA).
Le conseguenze che ciascuno di essi, a dosi anche estremamente basse, esercita sulla salute umana sono documentate da una vastissima letteratura; tali effetti inoltre possono essere diversi e più gravi in relazione alla predisposizione individuale, alle varie fasi della vita e sono soprattutto pericolosi per gli organismi in accrescimento, i feti e i neonati.
Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nickel, sono cancerogeni certi (IARC 1) per polmone, vescica, rene, colon, prostata; Mercurio e Piombo sono classificati con minor evidenza dalla IARC (livello 2B) ed esplicano danni soprattutto a livello neurologico e cerebrale, con difficoltà dell’apprendimento, riduzione del quoziente intellettivo (QI), iperattività
Per quanto riguarda le diossine gli inceneritori risultano essere la prima fonte di emissione in Italia. La tossicità di queste molecole è elevatissima e si misura in picogrammi (miliardesimi di milligrammo), si tratta di sostanze liposolubili e persistenti (tempi di dimezzamento 7-10 anni nel tessuto adiposo, da 25 a 100 anni sotto il suolo), vengono assunte per il 95% tramite la catena alimentare in quanto si accumulano in cibi quali carne, pesce, latte, latticini, compreso il latte materno, che rappresenta il veicolo in cui esse maggiormente si concentrano. La più tristemente nota è la TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-dioxin) (tetraclorodibenzodiossina) che, a 20 anni dal disastro di Seveso, è stata riconosciuta nel 1997 dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) a livello I, ossia come cancerogeno certo per l’uomo ad azione multiorgano.
Le diossine, esplicano complessi effetti sulla salute umana in quanto sono in grado di legarsi ad uno specifico recettore nucleare – AhR – presente sia nell’uomo che negli animali, con funzione di fattore di trascrizione. Una volta avvenuto il legame fra ligando e recettore la trascrizione di numerosi geni – in particolare P4501A1 – viene alterata sia in senso di soppressione che di attivazione, con conseguente turbamento di molteplici funzioni cellulari, in particolare dell’apparato endocrino (diabete, disfunzioni tiroidee), dell’apparato riproduttivo (endometriosi, infertilità, disordini alla pubertà), del sistema immunitario e, soprattutto, con effetti oncogeni, con insorgenza soprattutto di linfomi, sarcomi, tumori dell’apparato digerente, tumori del fegato e delle vie biliari, tumori polmonari, tumori della tiroide, tumori ormono correlati quali cancro alla mammella ed alla prostata.
Gli inquinanti emessi dagli inceneritori esplicano i loro effetti nocivi sulla salute delle popolazioni residenti in prossimità degli impianti o perché vengono inalati, o per contatto cutaneo, o perché, ricadendo, inquinano il territorio e quindi i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia. Questo è il caso in particolare delle diossine.

Inceneritori e Salute Umana
La letteratura medica segnala circa un centinaio di lavori scientifici a testimonianza dell’interesse che l’argomento riveste. Fra questi, diverse decine sono costituiti da studi epidemiologici condotti per indagare lo stato di salute delle popolazioni residenti intorno a tali impianti e/o dei lavoratori addetti e, nonostante le diverse metodologie di studio applicate sono segnalati numerosi effetti avversi sulla salute, sia neoplastici che non. Una accurata revisione è quella pubblicata nel 2004 negli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, in essa sono stati presi in considerazione 46 studi condotti con particolare rigore e si sono riscontrato rischi statisticamente significativi in due terzi degli studi che hanno preso in considerazione il cancro in quanto a mortalità, incidenza, prevalenza.
Gli effetti non neoplastici più segnalati sono ascrivibili soprattutto agli effetti di diossine (e più in generale degli endocrin disruptor) ed all’emissione di particolato e ossidi di azoto. Sono stati descritti: alterazione nel metabolismo degli estrogeni, incremento dei nati femmine e parti gemellari, incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, disturbi nella pubertà ed anche diabete, patologie cerebrovascolari, ischemiche cardiache, problemi comportamentali, tosse persistente, bronchiti, allergie.
Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro: segnalati aumenti di: cancro al fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella. Particolarmente significativa risulta l’associazione per cancro al polmone, linfomi non Hodgkin, neoplasie infantili e soprattutto sarcomi, patologia ormai considerata “sentinella” dell’inquinamento da inceneritori.
Studi condotti in Francia ed in Italia hanno evidenziato inoltre conseguenze particolarmente rilevanti nel sesso femminile. Riportiamo a titolo di esempio lo Studio di Coriano (Enhance Health).
Lo studio è stato condotto nel quartiere di Coriano a Forli, nell’ambito dello studio Enhance Health, finanziato dall’UE. A Coriano sono attivi due impianti: uno per rifiuti ospedalieri ed uno per rifiuti solidi urbani. L’indagine è stata condotta con metodo Informativo Geografico (GIS) ed ha riguardato l’esposizione, secondo 4 livelli crescenti, a metalli pesanti (stimata con un modello matematico) della popolazione residente per almeno 5 anni entro un’area di raggio di 3.5 km dagli impianti. Sono stati analizzati dati di mortalità (per tutte le cause e per singole cause, per tutti i tumori e per singole neoplasie), di incidenza per i tumori ed i ricoveri ospedalieri per singole cause. Il confronto è stato fatto prendendo come popolazione di riferimento quella esposta al minor livello stimato di ricaduta di metalli pesanti.
Per il sesso maschile non emergono differenze per quanto attiene la mortalità complessiva e la mortalità per tutti i tumori, ad eccezione del cancro a colon retto e prostata, che presentano entrambi un RR statisticamente significativo pari a 2.07 nel terzo livello di esposizione. Risulta inoltre che “l’analisi dei ricoveri ospedalieri mostra un aumento nella frequenza di angina, BPCO e asma negli uomini residenti nell’area più vicina agli impianti”.
Per il sesso femminile i risultati che emergono sono invece particolarmente inquietanti. Si registrano infatti rischi -statisticamente significativi- per patologie non neoplastiche nel 3° livello quali: ricoveri per patologie renali (RR = 3.06) e abortività spontanea (RR = 1.44).
Ancor più drammatici gli eccessi (statisticamente significativi) sia nella mortalità complessiva che nella mortalità per tumori. Nello specifico risulta nelle donne sia un aumento del rischio di morte per tutte le cause, correlato alla esposizione a metalli pesanti, tra il +7% e il +17% che nella mortalità per tumori,come ben risulta dalla Tabella 1.

La mortalità per tutti tumori aumenta nella medesima popolazione in modo coerente con l’aumento dell’esposizione dal +17% al +54%. In particolare per il cancro del colon-retto il rischio è compreso tra il +32% e il +147%, per lo stomaco tra il +75% e il +188%, per il cancro della mammella tra il + 10% ed il +116%.
Si può stimare che siano ben 116 i decessi in più fra le donne oltre l’atteso e questa stima appare particolarmente drammatica perché si basa su un ampio numero di casi (358 decessi per cancro tra le donne esposte e 166 tra le “non” esposte) osservati solo nel periodo 1990-2003 e solo tra le donne residenti per almeno 5 anni nell’area inquinata.
Tali risultati potrebbero essere ancora di ancora maggior rilievo, qualora la popolazione di riferimento fosse realmente non esposta: infatti il livello minimo di esposizione, preso come riferimento, corrisponde ad una ricaduta stimata dei metalli pesanti compresa tra 0,61 e 1.9 ng/m3, valore certo non nullo né trascurabile.



Informazione: Problema cruciale.
Lo studio di Coriano, sopra citato, rappresenta un tipico esempio di comunicazione ambigua e distorta, in cui il messaggio finale appare falsamente rassicurante e fornisce ai decisori politici l’avvallo per scelte spesso già prese in partenza. Il Prof. Lorenzo Tomatis che faceva parte del comitato scientifico dello studio, si dissociò da tali conclusioni affermando: “lo studio è di tutto rispetto, ma le conclusioni che gli Enti promotori hanno tratto sono ambigue e contradditorie allo stesso tempo”. Sarebbe stato più coerente con i risultati ottenuti trarre, ad esempio, conclusioni di questo tipo: lo studio epidemiologico dell’intera coorte per livelli di esposizione ambientale potenzialmente attribuibile agli impianti di incenerimento (tracciante metalli pesanti), con aggiustamento socio-economico della popolazione, mostra una relazione inequivocabile tra esposizione ed effetti sanitari per la salute femminile. Infatti è stato riscontrato nelle donne un eccesso di mortalità generale e per tutti i tumori, in particolare per i tumori dello stomaco, colon-retto e mammella nonché, all’aumentare del livello di esposizione, un aumento dell’incidenza di tumori del colon retto. Sempre nelle donne, si è registrato un aumento di ricoveri per malattie respiratorie acute, ricoveri per patologie renali ed abortività spontanea nel 3° livello di esposizione. Negli uomini si osserva un aumento statisticamente significativo della mortalità per cancro alla prostata ed al colon retto nel penultimo livello ed un aumento dei ricoveri ospedalieri per angina, BPCO e asma negli uomini residenti nell’area più vicina agli impianti. Infine, sebbene basato su un numero limitato di osservazioni, si evidenzia, mettendo insieme i dati di uomini e donne, un aumento della mortalità per sarcoma dei tessuti molli in rapporto al livello di esposizione. (RR = 10.97). Pertanto lo stato di salute della popolazione esposta alle emissioni dei due inceneritori risulta gravemente compromessa.
Lo studio di Coriano non è purtroppo il solo esempio di comunicazione mistificata ed è noto da tempo come conflitti di interesse possano condizionare le conclusioni tratte nella ricerca scientifica e biomedica.
Una informazione scientificamente corretta ed indipendente rappresenta uno dei principali doveri dello scienziato, in particolare di chi è deputato a tutelare la Salute Pubblica, ed è uno dei fondamenti della democrazia come Lorenzo Tomatis con queste parole, più attuali che mai, ci rammenta “adottare il principio di precauzione e quello di responsabilità significa anche accettare il dovere di informare, impedire l’occultamento di informazioni su possibili rischi, evitare che si consideri l’intera specie umana come un insieme di cavie sulle quali sperimentare tutto quanto è in grado di inventare il progresso tecnologico […]” .
In conclusione parlare di informazione/comunicazione in ambito di relazione medico/paziente ed in ambito di salute pubblica è tema delicatissimo quando gli interessi economici in gioco sono enormi come nel caso della gestione dei rifiuti diventa addirittura cruciale.
Non può essere infatti che – di fatto – esistano due diversi approcci: nel caso in cui l’informazione venga data ad un paziente nulla deve essere sottaciuto circa diagnosi, prognosi, possibilità terapeutiche esistenti ed eventuali alternative, (consenso informato) viceversa nel caso in cui venga fornita all'intera popolazione in relazione all’impatto sanitario di possibili inquinamenti ambientali si parla di “comunicazione del rischio”, dando quasi per scontato che il rischio ci sia e debba solo essere “accettato” dalle popolazioni, anche quando evitabile. Sembra che in quest’ultimo caso la priorità sia quella di non destare allarme, sottacendo gli eventuali rischi e finendo in tal modo per sminuire rischi potenziali importanti e prevenibili. Ci si chiede se sia prioritario tutelare gli interessi economici che sottendono tante scelte che vanno a discapito della salute delle popolazioni o non piuttosto il loro diritto ad una completa ed esauriente informazione sui rischi a cui possono essere esposte.

Ed i “nuovi” impianti di incenerimento?
È tema ricorrente sulla stampa ed anche in ambito sanitario, come ad esempio nel recente docu-mento della Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), che con i “nuovi impianti” di inceneri-mento i rischi per la salute sarebbero, se non nulli, quanto meno estremamente ridotti. Nel succitato documento dell’AIE si riconosce che da un lato: “gli impianti di vecchia generazione hanno certamente comportato l’esposizione ambientale della popolazione residente a livelli elevati di sostanze tossiche […]. Studi metodologicamente robusti e difficilmente contestabili hanno messo in evidenza eccessi di tumori riconducibili all’ esposizione a diossine”. Viceversa , i moderni inceneritori non dovrebbero comportare rischi in quanto: “le concentrazioni di molte sostanze tossiche sono notevolmente ridotte […]. A causa del poco tempo trascorso dall’introduzione delle nuove tecnologie d’incenerimento e a causa delle diffoltà di condurre studi di dimensioni sufficientemente grandi da rilevare eventuali effetti delle nuove concentrazioni dei tossici emessi, non sono ad oggi disponibili evidenze chiare di rischio legato agli impianti di nuova costruzione”.
Secondo i fautori di tale tesi quindi i “nuovi inceneritori” non dovrebbero destare particolare allarme; non potendo però portare dati epidemiologici in grado di supportare tali affermazioni – in quanto non è ancora trascorso un tempo sufficientemente lungo – essi giustificano le loro asserzioni su due principali caposaldi: i “nuovi limiti “più restrittivi” alle emissioni ed il fatto che i “moderni” inceneritori applicano le migliori tecnologie disponibili, dette BAT (Best Available Tecnology) che ridurrebbero a livelli trascurabili le emissioni inquinanti.
A proposito dei limiti normativi si fa notare che essi non sono affatto più restrittivi come parrebbe, ad es, nel succitato documento dell’AIE, gli estensori sono incorsi in un grossolano fraintendimento. Il confronto, esplicitamente citato nel documento, fra il valore di 4.000 ng/m3 per le diossine della vecchia normativa e gli 0.1 ng/m3 dell’attuale risulta palesemente errato in quanto il primo valore si riferisce alle diossine totali, mentre il secondo è riferito al valore “ponderato” come “tossicità equivalente” (TE) che riduce anche di 4 ordini di grandezza il valore grezzo della diossina, (per esempio per le OCDD e per gli OCDF) prendendo in considerazione solo le 17 specie “tossiche”. Risulta pertanto evidente che la vigente normativa non differisce in modo significativo dalla precedente ed anzi, nel caso di alcuni profili emissivi addirittura meno restrittiva (29). I campionamenti inoltre per alcuni inquinanti quali le diossine sono previsti solo poche volte all’anno e per la massima parte in regime di autocontrollo.
Per quanto attiene poi l’applicazione delle BAT rimangono tuttora aperti numerosi aspetti critici, legati alle caratteristiche dei sistemi di abbattimento, alla composizione dei rifiuti ammessi all’inceneritore, al controllo delle fasi critiche di accensione e spegnimento durante le quali i processi di combustione – e di conseguenza le emissioni – sono difficilmente controllabili.
Non si deve trascurare poi il fatto che la taglia assai maggiore dei nuovi impianti rispetto ai precedenti si tradurrà in una maggiore massa di inquinanti immessi in atmosfera. Infine non va dimenticato che una maggiore efficacia dei sistemi di abbattimento delle immissioni in atmosfera determina il trasferimento degli inquinanti (in particolare i più pericolosi e persistenti) dai fumi ai rifiuti prodotti dall’incenerimento e quindi una ridislocazione nel tempo e nello spazio dell’impatto sanitario e ambientale. Infatti anche gli inceneritori cosiddetti di "ultima generazione" hanno la necessità di discariche di servizio, in ragione del 20-30% della massa dei rifiuti in ingresso a cui si aggiunge un ulteriore 3-5% di rifiuti altamente pericolosi, costituito dalle ceneri volanti e dai residui degli impianti di abbattimento.
Infine una delle problematiche più importanti poste dagli impianti di nuova generazione, è proprio quella della formazione di ingenti quantità di particolato fine e soprattutto ultrafine, tanto primario quanto secondario, in proporzioni ben superiori a quelle dei precedenti inceneritori; nei confronti di questo tipo di particolato, anche le più recenti e migliori tecnologie si rivelano inefficaci, essendo in grado, nel migliore dei casi, di trattenere solo una parte della frazione fine, mentre sono del tutto impotenti nei confronti di quella ultrafine che, come abbiamo visto, è viceversa la più pericolosa.

Conclusioni
Le gravissime ed evitabili conseguenze dell’incenerimento sulla salute hanno attivato un vasto movimento di opinione fra cittadini, associazioni ambientalisti, comitati in tutta Europa. Purtroppo, in Italia, gli assurdi incentivi alla combustione sono stati anche di recente riconfermati, tutto ciò rappresenta un immenso business per chi gestisce rifiuti, con intrecci economico/finanziari.
L’attenzione è ancor più viva oggi, dal momento che secondo Autori di rilievo internazionale la combustione di una tonnellata di rifiuti, in termini di danni alla salute ed all’ambiente arriva a costare 21.2 euro. Questi costi per ogni tonnellata di rifiuti bruciati possono scendere paradossalmente fino a 4.5 euro se compensati con il recupero di energia, calore e materiali. Tuttavia il costo per la collettività, in termini di mortalità e morbilità, rimane comunque invariato.
I medici stanno facendo la loro parte, facendo sentire con forza la propria voce: in Italia si registra la richiesta di moratoria avanzata dagli Ordini dei Medici dell’ Emilia Romagna, la Posizione della
FNOMCeO, documenti sottoscritti da medici indipendenti fra cui Lorenzo Tomats una recente monografia dell’ISDE; anche in altri paesi d’Europa una decisa presa di posizione di Medici e Società scientifiche non si è fatta attendere, particolarmente dettagliate ed esaurienti il Rapporto dei Medici Francesi, della Società di Medicina Ecologica Britannica e dell’ ISDE internazionale.
Il mondo politico condizionato dagli interessi delle grandi lobbies appare come non mai sordo ed indifferente alle istanze della popolazione e le amare parole di Irwin Bross appaiono quanto mai attuali: “quando (...il governo e la classe dirigente medica e scientifica…) dicono che qualcosa è sicuro e buono per te, ciò che questo significa veramente è che è sicuro o buono per loro. A loro non importa quello che succede a te (…) Se c’è qualcuno che proteggerà la tua vita e sicurezza, quel qualcuno non potrai essere che tu”. Fortunatamente però la consapevolezza circa la necessità e l’urgenza di invertire la rotta di uno “sviluppo” dissennato e fallimentare, che trova nell’ incenerimento dei rifiuti il suo apice, sta crescendo a macchia d’olio.
Sempre più numerosi sono i cittadini, le associazioni, i medici che non si rassegnano e che non vogliono perdere una ottima occasione per fare Prevenzione Primaria scegliendo metodi di gestione dei rifiuti alternativi all’incenerimento ed evitando di costruire impianti inutili, pericolosi e gravemente nocivi: le generazioni future non ce lo perdonerebbero.

3. Appello dei medici, ricercatori e scienziati per il controllo dei cambiamenti
climatici. Appello alla 15° Conferenza delle Parti – COP15, Copenaghen Dicembre 2009
Esiste un’associazione internazionale, denominata ISDE, che ha sede anche in Italia e che riunisce medici, ricercatori e scienziati, consapevoli delle proprie responsabilità nei riguardi della società per la promozione, la protezione e lo sviluppo della salute e dell’ambiente.
Ritenendo:
• che i cambiamenti climatici compromettano le matrici ambientali fondamentali per la vita, quali l’aria, l’acqua, gli alimenti e quindi la salute pubblica di questa e delle future generazioni;
• che le politiche per la riduzione delle emissioni climalteranti, soprattutto nei Paesi responsabili per la maggior parte di tali emissioni, possano portare importanti benefici alla salute dei singoli e delle comunità, non solo riducendo i rischi di specifiche nocività ma anche favorendo una migliore qualità della vita;
• che la ricerca, adeguatamente potenziata, sui rapporti tra salute e ambiente, sulla efficienza energetica e sulle tecnologie per il controllo delle emissioni carboniche, sia fondamentale per la promozione e la protezione della salute;
• che la prevenzione primaria, con la individuazione delle fonti delle emissioni carboniche e il loro controllo, costituisca la strategia efficace per abbattere i fattori di pericolo e di rischio per la salute e l’ambiente da queste indotti;
• che l’efficacia dei provvedimenti per contrastare i cambiamenti climatici richieda azioni integrate su più livelli di governo (internazionale, nazionale, regionale e locale), su più piani (economico, sociale, culturale, ambientale e sanitario) e su diversi attori (cittadini, decisori politici, istituzioni e professionisti della salute);
• che i risultati attesi dipendano essenzialmente dalle azioni dirette di risparmio energetico ed efficienza energetica, oltre che di maggior produzione di energia da fonti rinnovabili, piuttosto che dal mercato finanziario della compra-vendita di quote di emissione;
• che gli impegni assunti unilateralmente dall’Unione Europea siano utili nella misura in cui attivano dinamiche virtuose tra tutti i Paesi, con l’assunzione di vincoli condivisi;
• che sia improrogabile il conseguimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, ma pure l’adozione di un quadro normativo globale per il periodo successivo al 2012, caratterizzato da condivisione degli oneri orientati alla giustizia e all’equità;
• che i cambiamenti climatici siano una delle principali preoccupazioni dei cittadini in campo ambientale;

… i medici, ricercatori e scienziati dell’ISDE intendono indirizzare i governi italiano, europei e degli altri Paesi a un accordo:
• che assuma i seguenti principi:
il confronto e il dialogo tra scienza, etica e politica;
la cooperazione internazionale;
la giustizia e l’equità nel determinare le future quote di emissione dei gas climalteranti, le quali tengano conto delle rispettive capacità dei diversi Paesi e del diritto di tutti allo sviluppo e a unasoddisfacente qualità della vita;
la responsabilità comune, ma differenziata tra i diversi Paesi;

• che ponga i seguenti obiettivi:
limitare i cambiamenti climatici dovuti alle emissioni carboniche di origine antropica;
promuovere la salute, la giustizia sociale e la sopravvivenza delle generazioni attuali e future, dei poveri e dei ricchi, a livello locale e mondiale;
avviare una profonda revisione dei modelli economici dominanti;
• che abbia i seguenti contenuti:
applicare il “Pacchetto clima 20 20 20 al 2020” dell’Unione Europea e allargamento dello stesso a tutti i Paesi industrializzati, trovando adeguati meccanismi di compensazione e di cooperazione per i Paesi in via di sviluppo;
stabilizzare le concentrazioni di anidride carbonica entro la soglia critica di 450 ppm, al fine di evitare il rischio di superamento di 2°C, rispetto all’era preindustriale, della temperatura media terrestre, ritenuta la soglia oltre la quale il cambiamento climatico produrrebbe danni irreversibili agli ecosistemi e all’umanità;
ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80% entro il 2050, rispetto al 1990;
adottare strategie di mitigazione e adattamento degli effetti su ambiente e salute dei cambiamenti climatici in corso;
porre un maggiore onere di impegni a carico dei Paesi industrializzati e di quelli in transizione;
garantire il trasferimento di risorse ai Paesi in povere condizioni di vita e che fanno uso limitato di combustibili fossili;
promuovere uno sviluppo che minimizzi le emissioni carboniche, non solo promuovendo scelte dei cittadini per bassi consumi ma soprattutto favorendo tali scelte da parte dei governi con adeguate politiche per il risparmio dell’energia, l’efficienza energetica e l’incremento delle fonti rinnovabili nei settori dell’edilizia, dei trasporti, dell’agricoltura, dell’industria e del turismo.

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Ricerca svolta da M. Bartoletti, M. Cucchi, G. Foiera, M. Stanghellini - Classe 2°C

Globalizzazione: una ricerca

Termine col quale viene indicata una serie di fenomeni che si verificano su scala mondiale, con l'effetto di unificare le condizioni economiche, i modi di vita, la cultura e, più in generale, le idee, prendendo come modello quello occidentale.

§1. Come le multinazionali e la globalizzazione devastano l’Africa

Ecco le dichiarazioni di alcuni missionari.
1.
Sotto le feste del passato Natale si fece un gran parlare della Nestlé: l'occasione fu data dai panettoni avvelenati. In un collegamento in diretta con Radio Uno furono intervistate due suore comboniane, ambedue infermiere con una lunga esperienza africana di lavoro in maternità. Senza mezzi termini denunciarono la politica della Nestlé, che con una poderosa propaganda cerca di convincere le mamme africane ad abbandonare il tradizionale allattamento al seno e sostituirlo con il biberon del latte in polvere Nestlé. Denunciarono che le conseguenze, sia dal punto di vista fisico (sviluppo dei neonati e protezione contro le malattie infettive) che da un punto di vista psicologico-affettivo (legame madre-bambino), almeno qui in Africa sono devastanti.

2.
È un pregiudizio o ci sono dei motivi? È vero: noi missionari non siamo d'accordo con la logica e la strategia degli investimenti delle multinazionali come Nestlé, Dal Monte (frutta), De Beers (diamanti), Shell (petrolio). Senza parlare poi delle multinazionali delle armi, delle mine, che riforniscono e mantengono fiorenti le attuali guerre; quelle dei rifiuti industriali e chimici che avvelenano l'Africa coi rifiuti che l'Europa non riesce a smaltire; quelle del legname che stanno dilapidando e distruggendo le una volta famose foreste vergini dell'Africa, dalla cui esistenza tutti dipendiamo per la rigenerazione dell'ossigeno e l'assorbimento della crescente anidride carbonica.

3.
Il Kenya ha una superficie di 600.000 kmq, quasi il doppio dell'Italia, ma solo 125.000 sono coltivabili: il resto è steppa arida e deserto sassoso. Le multinazionali del caffè, del tè, dell'ananas, dei fiori, si impossessano della terra migliore. Che resta alle popolazioni locali? Le zone aride, senza piogge, senza possibilità di irrigazione e in più isolate, senza strade per il commercio. Se uno visita il Kenya con qualche itinerario organizzato da chi è sensibile a questi problemi e non dalle solite agenzie turistiche, può vedere con i suoi occhi. Ottime zone come quelle di Thica, Limuru, Kiambu, Nyanyuki, pendici del monte Kenya, Rongai, le così dette High Lands, sono ormai tutte nelle mani delle multinazionali del caffè, del tè, del piretro, del frumento, di quant'altro. I kenyoti dove sono? A tribolare nelle baraccopoli che si stanno sempre più gonfiando e a seminare per non raccogliere, a volte, neanche il seme, nelle zone aride.

4.
L'Africa deve ancora far fronte ai bisogni fondamentali: cibo, acqua potabile, alloggio, educazione primaria per le nuove generazioni, un minimo di strutture sanitarie e di rete stradale. Le multinazionali, con la loro martellante propaganda alla radio, su giornali, tv e foglietti volanti, creano falsi bisogni e false convinzioni. Se non bevi quel caffè, non sei uno del 2000. Se non usi questo o quel biberon (Nestlé) o questo o quel pannolino (Johnson), non sei una buona mamma, non vuoi bene al tuo bambino. Senza parlare poi dei cosmetici e dei coloranti della pelle e dei capelli.

5.
La gente non è abituata ancora alla dialettica della pubblicità, difficilmente si difende e scambia per importante quello che è un ingrediente inutile se non dannoso. Se i falsi bisogni creati dalla pubblicità sono dannosi ovunque, in Africa sono mortali. Da quanto detto, appare chiaro che la logica delle multinazionali è violenta, perché mette il prodotto e il guadagno al di sopra della persona e del bene della comunità. Le persone vengono usate per obiettivi finanziari e di potere. Si installano dove la gente è più debole, meno capace di difendersi, e le strutture statali meno organizzate per resistere alle loro pressioni. L'Africa e diverse altre aree del terzo mondo sono in questa condizione di debolezza. Noi missionari non vogliamo demonizzare nessuno: riconosciamo che le multinazionali hanno una loro funzione nel mondo di oggi.




§2. Sfruttamento minorile da parte delle multinazionali

Il sistema che sta dietro alle multinazionali per quanto riguarda lo sfruttamento del lavoro minorile non è poi così difficile da spiegare né tanto meno da capire. Il lavoro minorile è presente in ogni parte del mondo ma le multinazionali preferiscono impiantare sedi di lavoro e, quindi di lavoro minorile, nei paese economicamente sottosviluppati, laddove le condizioni sono favorevoli al realizzarsi di questo fenomeno.
Come si può facilmente capire, la causa principale del lavoro minorile è la povertà. Il bambino che va a lavorare lo fa, nella maggior parte dei casi, per contribuire al reddito familiare di per sé già estremamente ridotto. Tutto ciò, a lungo termine, comporta non solo una continuazione della povertà a livello di reddito, in quanto i minori lavoratori sono in ogni caso sottopagani e sfruttati, ma anche una formazione della povertà a livello sociale, culturale e individuale. Questo perché se il ragazzo deve recarsi a lavoro dovrà rinunciare agli studi, sia per una questione di tempo e sia perché spesso gli studi devono essere pagati e quindi non gli è possibile mantenerli, e ciò comporta lo svilupparsi di un alto tasso di analfabetismo che non permetterà di poter difendere i proprio diritti di lavoratore. Insomma è proprio un circolo vizioso e le multinazionali, ovviamente, per i loro scopi economici, ed esclusivamente loro in quanto non portano certo ricchezza e sviluppo nei paesi sottosviluppati dove spostano le loro aree produttive, ne approfittano. Lo sfruttamento minorile è alimentato proprio dalle multinazionali che spostano le loro aree di produzione nei paesi dove, secondo le loro politiche economiche, è più conveniente farlo ovvero dove i lavoratori sono meno esigenti, anche perché non istruiti, ed i governi, a riguardo, sono più accondiscendenti.
Eppure c’è qualche governo che, per i suoi ideali e le sue linee politiche, non ha permesso questo sfruttamento minorile. Grazie alla sua campagna del diritto allo studio che prevede l’istruzione gratuita a tutti i livelli, ha permesso un tasso di alfabetizzazione del 100%. Inoltre non è stato permesso l’insediamento brutale delle multinazionali. Va quindi sottolineato come sì, le multinazionali abbiano i loro torti, ma gran parte dei torti sono da ricercare anche nei governi che permettono loro di fare ciò che vogliono, senza pensare al benessere della loro popolazione.
In tutto questo, comunque, non vi sono giustificazioni allo sfruttamento minorile, in quanto esistono valide soluzioni affinché ciò non accada.

Approfondimento: cosa comporta la globalizzazione

Sotto l'aspetto economico, la globalizzazione comporta:
1) l'eliminazione delle barriere giuridiche, economiche e culturali che pongono limiti alla circolazione di persone o beni di qualsiasi tipo;
2) Allargamento su scala mondiale delle attività produttive commerciali e finanziarie.
3) Interdipendenza sempre più stretta tra operatori, realtà produttive e sistemi economici in località e paesi geograficamente distanti, nel senso che un evento che si verifica in un qualsiasi luogo del pianeta può avere ripercussioni quasi immediate a livello politico e soprattutto economico in altre località del pianeta.
4) Diminuzione dell'importanza della collocazione geografica della produzione, con tendenza a privilegiare i Paesi caratterizzati da un basso costo della manodopera e/o minori vincoli fiscali e burocratici in genere.
5) Diffusione di una cultura globale, che riflette sostanzialmente l'importanza delle singole nazioni che ne fanno parte.
6) Perdita di rilevanza dei singoli Stati nazionali.



Bibliografia

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- http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=globalizzazione.html
- http://www.peradam.it/peo/ipercorso/globalizzazione/Glob-800/home.htm

Ricerca svolta da R. Davin, M. Marchi, E. Morigi, L. Serafini, P. Zoffoli - Classe 2°E